FAD riservata agli iscritti al Corso di formazione formatori (senior)

17 marzo 2020 (prima parte)

Sulla relazione formativa

In questa prima sessione di FAD vi propongo alcune riflessioni che potete leggere anche nel Quaderno Anchise n.1 La relazione formativa.

Si tratta di riflessioni tratte dalla mia esperienza di formatore che vorrei confrontare con le vostre. Vi chiedo di scrivere qui di seguito riflessioni personali sul tema, in particolare:

  1. Vi siete accorti di come la relazione formativa sia influenzata dal contesto in cui essa si realizza? descrivete una vostra esperienza.
  2. Vi siete accorti di come la relazione formativa sia asimmetrica in due sensi? Voi siete in posizione up in quanto esperti di formazione, ma in posizione down in quanto non avete esperienza nel fare quello che fanno gli operatori. Gli operatori, d’altra parte, sono in posizione up relativamente alla loro esperienza professionale, ma in posizione down in quanto si aspettano da voi un aiuto per svolgerla meglio.

Scrivete qua sotto le vostre esperienze e riflessioni entro martedì 17. Man mano che le ricevo le leggerò e pubblicherò. Lo scopo del compito è di acquisire maggiore consapevolezza del ruolo formativo per migliorare poi la gestione pratica delle sessioni in cui siete formatori.

Abbiamo 13 risposte

  1. 1. Il contesto nella mia ESPERIENZA è importantissimo. Per contesto intendo l’ambiente fisico in cui si svolge l’incontro, l’ambiente relazionale con il formatore e le attività svolte durante la formazione: come nel Gentle Care.
    L’ambiente fisico deve essere semplice, accogliente, tranquillo, ben illuminato, sufficientemente ampio per la disposizione a cerchio delle sedie e per muoversi.
    L’ambiente relazionale dipende sia dal gruppo sia dal formatore; quest’ultimo deve avere un un’atteggiamento aperto all’ascolto, alla osservazione, alla plasticità. Il formatore deve creare un momento che faciliti la partecipazione attiva, non un cattedratico distaccato.
    Infine le attività servono, come per la presentazione a palla, ricordare la praticità, la fisicità che esiste nella nostra vita nelle Rsa.
    Esiste infine un contesto che il FORMATORE deve poter conoscere prima: già dal colloquio con chi organizza e richiede la formazione, occorre cogliere il bisogno formativo e le aspettative, il contesto culturale ed organizzativo in cui vivono i formandi.
    Il contesto muta ad ogni incontro grazie alla plasticità del FORMATORE.
    Infine esiste un post contesto; dopo il percorso formativo, un contatto a distanza di tempo con i partecipanti e col committente aiuta a comprendere l’impatto a medio e lungo termine.

    2. ASIMMETRIA
    Nella mia ESPERIENZA quotidiana lavorativa e di vita, siamo sempre sia Up che Down. Ognuno di noi ha una parte da aggiungere e una parte da cogliere sempre.
    Un buon percorso di formazione è nutrimento e crescita per il formatore. Il formando deve essere riconosciuto come grande esperto del concreto quotidiano, perché è lui in prima linea con il malato, la malattia, i bisogni fisiologici, i tempi…
    L’APPROCCIO capacitante riconosce tutti.
    La possibilità e la disponibilità nel mondo della Rsa per tutti di vedere, partecipare alle attività assistenziali deve essere un bagaglio che il FORMATORE deve avere.
    Partecipiamo ad un bagno igienico, partecipiamo ad una vestizione… ad un pasto… l’esperienza è crescita.
    Il Formatore è colui che aiuta a far emergere le competenze degli operatori, a dare un senso professionale e professionalizzante, anche fornisce strumenti per affrontare al meglio le criticità.
    Il Formatore collabora per migliorare consapevolezza del COME, ad esempio Come parlare, come ascoltare.
    La “lezione” capacitante è reciprocità.
    Come in una agorà, come in un teatro di ruoli.
    L’ulteriore punto di forza è portare l’operatore ad essere un attore del pensiero, della riflessione, di attività, come il dialogo mirato… oltre il fare… l’esserci… come figura competente nella relazione.

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    • Questo intervento di Monica Gandelli apre una nuova finestra sull’esperienza del formatore capacitante. Da una parte il formatore è consapevole di non avere le stesse esperienze e competenze degli operatori e basa l’attività formativa su quanto da loro riferito; dall’altra, l’assistere anche solo occasionalmente a un’attività concreta, come per esempio un bagno assitito, può costituire un bagno di realtà e di consapevolezza per il formatore tale da trasformarlo profondamente.

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  2. 1. La relazione formativa è influenzata dal contesto in cui essa si realizza… tanto quanto il contesto in cui la formazione si realizza è influenzato dalla relazione formativa.

    Nelle mie esperienze di formazione mi sono accorto sempre di più di come il contesto in cui si va a proporre la formazione sia estremamente importante e da tenere in considerazione. Man mano che ho avuto la possibilità di portare la formazione “base” sull’Approccio Capacitante in una, due, tre residenze per anziani diverse, in diverse zone di Italia, mi sono accorto di quanto quelle formazioni, sulla carta apparentemente così simili, erano nella realtà così tanto differenti. Preparavo le stesse domande a palla, le stesse slide iniziali, magari a volte anche lo stesso testo o lo stesso scambio comunicativo per non farmi cogliere impreparato al primo incontro… eppure ogni volta è stata una scoperta e alla fine delle 3 o 4 ore di formazione nessuna esperienza può dirsi simile in qualcosa ad un’altra. Al contrario ogni esperienza è stata unica. Ci sono state formazioni dove le slide hanno fatto da padrone, altre dove non le ho nemmeno caricate, formazioni dove ho usato tutto il tempo pennarello e lavagna, e formazioni dove la lavagna non c’era, e ci si è dovuti arrangiare “in qualche modo”… Formazioni dove gli operatori erano già seduti nella stanza 10 minuti prima dell’inizio del corso, e formazioni dove 10 minuti dopo ancora non si era fatto vivo nessuno, o altre dove erano presenti solo le operatrici comunali perché “quelle della cooperativa fanno sempre quello che vogliono e bisogna chiamarle”… formazioni dove “grazie, a questo non ci avevo mai pensato, e io che credevo che correggendo si potesse essere di aiuto” e formazioni dove “queste cose le sappiamo già, le facciamo da sempre” … formazioni “ci avevano detto che si parlava di come gestire i familiari troppo aggressivi”, o “siamo qui perché ci obbliga la direzione” o “finalmente uno spazio per noi, ce ne vorrebbero di più”..
    Credo che tutto questo possa essere quello che un formatore può definire il contesto in cui va a fare formazione: il bisogno del committente, la domanda formativa degli operatori, la motivazione, il clima relazionale, l’ambiente inteso come la strumentazione disponibile, stanza, sedie mobili o no, lavagna, proiettore, ecc., la corrispondenza fra proposta formativa e esigenze del personale e della struttura in genere, il momento in cui la formazione si svolge (ad esempio ricordo un pomeriggio di formazione dopo che gli operatori avevano appreso il decesso di due anziani a cui erano tanto legati), quanto la formazione viene valorizzata a livello economico nella struttura (ore di lavoro retribuite, ore pagate a gettone, formazione dentro o fuori orario di lavoro ecc.).
    Superfluo dire quindi quanto il contesto influisca sulla relazione formativa.

    Credo sia però molto vero anche il contrario. E anche questo l’ho appreso e sperimentato grazie alle diverse esperienza formative che ho avuto modo di fare e nelle quali mi sono potuto sperimentare. E’ vero cioè che la relazione formativa è in grado di influenzare il contesto. Con questo intendo dire che se il formatore cura con particolare attenzione il contesto può agire su di esso per favorire il percorso formativo. Una attenzione al clima di aula, alle aspettative, ai bisogni formativi, alle dinamiche tra operatori o fra operatori e direzione può infatti incidere significativamente sul contesto e migliorarlo. Una formazione “iniziata male” per condizioni ambientali e di contesto sfavorevoli può “finire bene” grazie alla cura che il formatore ha non tanto dei contenuti didattici-formativi, quanto dell’alleanza con l’aula, della relazione, della restituzione del clima emotivo e delle fatiche, ecc.
    Una buona relazione formativa influisce quindi in modo significativo sul contesto.

    2. La relazione fra formatore e operatori.

    Esiste sempre, in qualsiasi relazione, qualche cosa per cui sentirsi up rispetto all’altro e qualche cosa d’altro per cui sentirsi down. Questo si percepisce quindi anche nella relazione fra formatore e operatori nei corsi di formazione.
    Fare formazione sull’Approccio Capacitante, ma soprattutto con l’Approccio Capacitante, ci pone davanti all’obiettivo di rendere il meno asimmetrica possibile la relazione fra docente e discente e di riconoscere in ciascuno il proprio sapere e le proprie competenze. Nei percorsi di formazione promuoviamo la possibilità che l’operatore riconosca le competenze dell’anziano, oltre alle proprie, e allo stesso modo nei corsi di formazione promuoveremo le competenze degli operatori, oltre alle nostre. L’operare è esperto del suo lavoro, conosce la struttura, conosce gli anziani, i colleghi, ha le sue competenze. Il formatore porta il suo sapere e le sue esperienze di formazione. In una formazione equilibrata c’è spazio sia per il sapere del formatore (attraverso slide, concetti teorici, approfondimenti, ecc.) sia per il sapere dell’operatore (attraverso il raccontare episodi, il riportare parole, strategie utilizzate, aneddoti, ecc.). Il formatore starà attento a mantenere questo equilibrio e a dosare più un ingrediente o l’altro in base all’aula che si trova di fronte. Talvolta il sapere del formatore è espressamente richiesto, a lui viene riconosciuta esplicitamente una posizione up, ma spesso quelle stesse volte quel riconoscimento può non risultare funzionale o rivelarsi un boomerang nel percorso formativo e nell’obiettivo di far emergere dagli operatori, attraverso loro stessi e il loro lavoro, quelli che sono i cardini dell’Approccio Capacitante.

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    • Le riflessioni di Dario Ferrario chiariscono molto bene alcuni aspetti della formazione capacitante:
      1. La formazione capacitante parte dall’aula, si adatta all’aula, dialoga con l’aula. Il formatore prima ascolta poi restituisce.
      2. Il contesto influisce sulla formazione e il formatore influisce sul contesto.
      3. La consapevolezza che il formatore ora è in posizione up ora è in posizione down favorisce una corretta relazione formativa tra adulti.

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  3. FORMAZIONE CAPACITANTE IN UN REPARTO DIALISI. CONTESTO E RELAZIONE

    Porto alcune riflessioni su un’esperienza formativa avvenuta a dicembre dello scorso anno, riguardante un contesto di cura diverso dalle demenze, delle quali generalmente si occupa l’Approccio Capacitante. I due piccoli gruppi erano composti da infermieri del reparto di dialisi di una struttura convenzionata. La prima considerazione è questa: la mia attività di formatore ha dovuto prendere in seria considerazione le competenze ed esperienze già possedute dai presenti. Come afferma Pennati (Quaderno Anchise n.2, pag. 11), le competenze presenti possono essere reinvestite in modo nuovo, attraverso la riscoperta, la rifinalizzazione e il loro riutilizzo dettato dalla responsabilità e dalla necessità del cambiamento. La formazione, anche quella Capacitante, può offrire risposte alle esigenze degli operatori attraverso (Pennati, op.cit.):
    • apprendimenti che lo aiutino ad adempiere al meglio le proprie responsabilità, i propri compiti;
    • apprendimenti che lo aiutino a gestire meglio le relazioni significative.
    Nei partecipanti erano presenti sensibilità, consapevolezza, attenzione e una buona formazione professionale. Elementi favorevoli a valorizzare e mettere in pratica il punto centrale dell’Approccio Capacitante: l’attenzione alle parole. Il lavoro coi gruppi ha cercato di facilitare il riconoscimento delle competenze presenti nei pazienti, il superamento dello stigma della malattia attraverso la presa di coscienza delle loro Identità molteplici, il possibile superamento dei problemi relazionali e motivazionali con persone ricoverate. Proprio con l’attenzione alle parole, agli scambi conversazionali, con il riconoscere alcuni comportamenti e reazioni verbali come espressione di competenza, con il dare Risposte di Riconoscimento si può rispondere più adeguatamente ai bisogni dei pazienti. Si può raggiungere altresì un miglioramento dell’autopercezione di efficacia da parte degli operatori, contribuendo a sostenere la difficoltà di un lavoro di cura che non si pone la guarigione come obiettivo. Questi sono stati i punti centrali del lavoro nei gruppi, partendo dall’ascolto di esperienze difficili.

    Esempio di esercitazione sul caso di Giuseppe
    Un paziente dializzato “difficile”, con poli-patologie, già pluritrapiantato. Chiama insistentemente, avanza richieste cui non sempre è possibile dare soddisfazione, usa toni intimidatori, compromette la situazione degli altri pazienti che si sentono disturbati.
    Secondo l’Approccio Capacitante ogni parola, suono, comportamento del paziente va considerato come un messaggio. Si richiede di mettersi dal punto di vista del paziente e di indicare “che cosa mi sta dicendo” e “di che cosa ha bisogno”. I partecipanti, che erano 7, hanno dato più di una indicazione.

    Che cosa mi dice?
    1. ha paura,
    2. è insicuro,
    3. non si fida,
    4. ha bisogno di essere considerato,
    5. vuole avere il controllo,
    6. tenta di intimidire,
    7. vuol sembrare importante,
    8. vuol essere al centro dell’attenzione,
    9. non sa aspettare,
    10. ha bisogno di noi (di attenzione),
    11. è da solo,
    12. cerca di manipolare.
    Di che cosa ha bisogno:
    1. di parlare,
    2. di essere rassicurato,
    3. di ascolto,
    4. di essere considerato, visto,
    5. di avere le cose sotto controllo,
    6. di avere le redini della situazione,
    7. di certezza.

    Come posso provare a rispondere ai suoi bisogni?
    1. fermarsi, prendere sul serio,
    2. scegliere le parole per la risposta,
    3. dare conferma che siamo al corrente (sappiamo, Giuseppe),
    4. dare risposte adeguate dal punto di vista cognitivo, professionali (questo lo rassicura),
    5. dare risposte di Riconoscimento (ho notato che…, oggi la vedo…)
    6. programmare preventivamente, se possibile, un tempo in cui lui possa avere un interlocutore per “raccogliere” i suoi dubbi e le sue richieste,
    7. avere un curante interlocutore di fiducia, privilegiato, una “figura di attaccamento”.

    A questo punto ciascuno ha potuto scegliere per sé una possibile risposta ai bisogni per provare a metterla in campo. Un po’ come viene suggerito ai familiari nei Gruppi ABC: sperimentare per diventare un curante esperto nell’usa della parola, osservando gli effetti delle parole stesse (e di ogni scambio comunicativo). Evidentemente, gli infermieri sono già esperti nel ruolo di professionisti della salute. La parola che cura ha rivelato un campo dell’esperienza che meritava di essere approfondito. Alcune caratteristiche del contesto relative ai partecipanti hanno facilitato il lavoro:
    • tutti conoscevano i casi citati;
    • avevano già avuto esperienze formative comuni;
    • erano in grado di parlare di sé con buona introspezione e linguaggio adeguato;
    • sapevano mettere in campo sia l’io personale che quello professionale.

    Un altro aspetto importante che ha condizionato la progettazione è stato il tempo. Ogni gruppo ha avuto 4 ore di formazione continuative, nell’arco di mezza giornata. Potrebbe sembrare faticoso da sostenere ma posso dire che questo ha il vantaggio di dare continuità al lavoro e di accentuare la consapevolezza del formatore, tenendo accesa la sua attenzione sul qui e ora di ciò che accade e sull’obiettivo formativo.

    Una relazione formativa paritaria?
    Tutti avevano competenze ed esperienze notevoli e già acquisite. Questo porta a riflettere sulla relazione formativa. Aggiungerei, dal punto di vista grafico, un’altra dimensione a quella verticale, quella orizzontale. C’è un rimbalzo nella sequenza dei turni verbali. C’è la possibilità di scambio che abbia la valenza di riconoscere l’identità di ciascuno ma anche di evidenziare le differenze tra gl’interlocutori. Questo mi pare un processo che, all’interno di una relazione formativa non giudicante, si configura come una costruzione a moduli, dove ciascuno può essere up o down, emittente o ricevente nel tempo e da punti di vista variabili e relativi. Il risultato è un reciproco percorso di adattamento e di crescita, quando funziona. Come in un puzzle, ciascuno ha un pezzo di esperienza sul campo, che può riguardare parti diverse ma che contribuisce a formare il quadro completo.

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    • L’esperienza di Donatella Basso mette in evidenza
      l’adattabilità della formazione con l’Approccio Capacitante anche a contesti diversi dalle RSA
      l’importanza dei contributi di ciascuno, operatore o formatore, nel contribuire a formare un quadro unitario, come tessere di un puzzle.

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  4. 1. CONTESTO
    Credo che il contesto influenzi molto la relazione formativa e per questo meriti un’analisi accurata prima di qualsiasi incarico. Intendo il contesto in modo ampio: la tipologia di richiesta che arriva dal commitente e la motivazione che la determina, l’utenza a cui si rivolge, il tipo di realtà in cui si realizza oltre al proprio contesto emotivo e motivazionale.
    Riporto 2 personali esperienze in cui mi sono resa conto dell’importanza del contesto.
    La prima riguarda un incarico di formazione interno alla struttura in cui lavoravo.
    Questo tipo di contesto mi ha facilitata perché conoscevo bene la realtà e le persone di cui mi parlavano gli operatori e perché ha permesso agli operatori di essere da subito molto aperti e coinvolti. Mi ha però creato difficoltà la gestione di due atteggiamenti che sono emersi:
    – la ricerca di risposte e indicazioni concrete sul caso specifico al di là degli scambi di parola
    – le recriminazione e le lamentele nei confronti della struttura
    La seconda esperienza che riporto riguarda un incarico in cui ho preso coscienza dell’importanza del ‘proprio’ contesto interno.
    All’interno della mia cooperativa mi è arrivata la richiesta dalla direzione d’area di fare formazione in una RSA, finalizzata all’acquisizione di punteggio per partecipare ad un bando per l’attivazione di un nucleo Alzheimer. Questa RSA si trovava logisticamente molto più vicina al mio indirizzo di residenza rispetto alle RSA in cui in quel momento lavoravo. La prospettiva di fare formazione in una RSA della mia cooperativa vicino a casa ha mosso in me la fantasia/speranza di poter fare richiesta di trasferimento in caso di vincita del bando nonostante la stessa RSA avesse una psicologa interna che, tra l’altro, era stata incaricata di affiancarmi nella formazione.
    Solo discutendo durante una supervisione con il Prof.Vigorelli ho capito quanto questa mia fantasia poteva compromettere la buona riuscita della formazione e questo mi ha permesso di mettere in discussione la mia precedente motivazione e trovarne di nuove per poter portare avanti l’incarico assegnatomi. La collaborazione con la collega psicologa e la formazione hanno potuto così procedere in maniera costruttiva.

    2. ASIMMETRIA
    Nella relazione formativa c’è un’asimmetria tanto forte quanto reciproca. Il problema è che l’operatore è tendenzialmente abituato a vivere questa asimmetria a suo svantaggio percependo nello sguardo dell’altro
    la sottolineatura di qualche mancanza.
    Sta al formatore, almeno nello spazio/tempo degli incontri formativi, cercare di appianare questa asimmetria.
    Come può farlo?
    Innanzitutto riflettendo su questa asimmetria e diventando sempre più consapevole di quanto questa sia reciproca, maturando sincero rispetto per il lavoro e le competenze degli operatori.
    Negli incontri di formazione può esprimere il riconoscimento per le loro competenze ed esperienze attraverso l’ascolto e il prendere in seria considerazione il loro punto di vista. Solo in questo modo l’operatore, sperimentando in prima persona un clima capacitante, è favorito a mettere in pratica anche con gli anziani l’esperienza positiva vissuta in prima persona.
    Credo che questo sia lo strumento formativo più potente a disposizione dell’approccio capacitante.

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  5. Marina Gallo sottolinea molto bene che la leva formativa più potente per formare gli operatori ALL’approccio capacitante consiste nel fare formazione CON l’approccio capacitante.

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  6. 1. Relazione formativa
    La relazione formativa è influenzata dal contesto? Sì. Mi sono trovata come formatrice in contesti diversi, in regioni diverse e in momenti differenti della vita delle stesse strutture e mi ritrovo sempre a pensare che quello che, in termini biopsicosociali, si definisce “l’ambiente”, definisca non solo la cornice della formazione ma il suo stesso strutturarsi e il suo andamento. In questo ambiente penso che ciò che crea la differenza risieda nelle persone e nelle qualità emotiva delle relazioni tra di loro, sia che gli individui siano tra loro in posizione paritaria (stessa mansione lavorativa), sia asimmetrica (si fa parte di un organigramma che implica gerarchie). Un clima emotivo disarmonico crea una fatica nell’accedere alla formazione, un clima armonico, invece, crea una motivazione positiva nell’accogliere quanto porta il formatore. Questo è quanto accade all’inizio di un incontro, si percepisce dai primi minuti il clima in cui il gruppo di lavoro vive, poi grazie al significato stesso della formazione capacitante accade qualcosa di trasformativo. L’ascolto attivo di quanto le persone portano con sé permette di capire cosa proporre loro e in che modo, proprio cogliendone il bisogno. La formazione sull’approccio capacitante è basata sul riconoscere l’altro con tutto quello che porta e su questo si intesse il dialogo formativo. Questo ha sempre fatto sì che in contesti di disarmonia relazionale si creassero relazioni nuove, possibili e funzionali in cui riuscire a lavorare insieme e con la voglia di farlo.
    Per questo motivo come esperienza non voglio portare un momento complesso, ma piuttosto ricordare un piccolo contesto di cura in cui l’armonia tra operatori ha permesso di lavorare insieme affrontando una serie di difficoltà. Non funzionavano i pc e i proiettori, non era arrivata la lavagna mobile, ecc… Abbiamo attaccato i fogli su ogni parete e siamo riusciti a lavorare piacevolmente, in grande gruppo, individualmente o in piccoli gruppi e abbiamo interagito senza aver paura di esprimere ciascuno il proprio pensiero curioso e attivo.

    2. L’asimmetria
    L’asimmetria nella formazione esiste? Sì, ma da più prospettive. Il formatore porta il suo approccio e i relativi argomenti da voler trattare, ma l’operatore, il familiare, il volontario, chiunque si trova nelle vesti del formando, porta la propria esperienza di lavoro e di vita. Essere in posizione up o down dipende proprio dal modo in cui si osserva l’altro. Proprio in questa altalena di conoscenze ed esperienze si crea la giusta modalità di formare esercitando nel gruppo che si crea tutte le competenze elementari. L’esercitare le competenze avviene quando si ascolta e si rispetta quanto ciascuno dà e porta, quanto ciascuno pensa e prova. Nel vivere questa alternanza di up e down si crea la relazione formativa ed è in essa che possono essere espressi i contenuti che il formatore porta e tali contenuti possono essere appresi nel modo più adeguato per ciascuno. Viene a crearsi una condizione che viene definita “di flusso”, momento in cui un individuo si permette di ascoltare la propria curiosità e ha voglia di arricchirsi per poter esprimere al meglio le proprie competenze. Questo avviene quando il contesto capacitante in cui siamo ci permette di scoprire che esiste qualcosa che ci coinvolge e interessa veramente e di conseguenza ci permettiamo di impegnarci e riusciamo anche a trarre piacere dall’impegno stesso, raggiungendo così il momento in cui impariamo al meglio.

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    • L’atteggiamento capacitante nel fare formazione fa sì che siamo sempre attenti al contesto e da questo partiamo per proseguire. Per noi gli imprevisti non sono eventi sfavorevoli, sono opportunità per essere creativi e trovare nuove soluzioni. L’esempio di Monica Martini che si è trovata senza PC e senza maxi blocco di carta è un bell’esempio a questo riguardo.

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  7. La relazione formativa è fortemente influenzata, come tutte le relazioni, dal contesto in cui si realizza.
    Per contesto deve essere inteso da una parte l’aspetto concreto relativo agli ambienti, alla disponibilità degli strumenti e dall’altra l’aspetto più complesso e profondo dell’organizzazione della formazione e dei suoi aspetti progettuali.

    1) Sull’ambiente
    Un ambiente adeguatamente illuminato, riscaldato, arredato in modo confortevole, con la possibilità di stare seduti comodi, in cerchio, ben isolato acusticamente, privo di disturbi esterni, rende certamente più facile il mantenimento della concentrazione e della partecipazione da parte degli operatori e del formatore. Ambienti non adatti, frequenti interruzioni, disturbo sonoro, locali di transito o di servizio ai quali accedono ospiti o familiari possono mettere in forte disagio i partecipanti e il formatore che si trova a dover riprendere continuamente il clima di partecipazione, intimità e confidenza costantemente disturbato. Sembra banale, ma la presenza di pennarelli scarichi, di fogli insufficienti, di persone obbligate a stare in posizione scomoda o distrazioni di vario genere possono influenzare anche pesantemente la relazione tra formatore e partecipanti e tra i partecipanti stessi.

    2) Sul progetto formativo
    Molto spesso accade che la committenza non preveda un vero e proprio progetto formativo soprattutto nelle piccole realtà che non hanno un servizio dedicato alla formazione del personale. Può accadere che venga richiesto al formatore di effettuare la formazione senza che siano stati valutati aspetti rilevanti come il bisogno formativo, gli obiettivi della formazione, le aspettative dei discenti. Altre volte invece viene chiesto al formatore di effettuare tutta questa parte progettuale preliminare che richiede un grosso impegno sia qualitativo che quantitativo molto spesso non riconosciuto economicamente.
    Ritengo invece essenziale che i discenti presenti in aula abbiano ricevuto informazioni chiare o che, meglio, siano stati coinvolti nell’analisi dei bisogni formativi e che siano stati messi al corrente degli obiettivi e delle modalità della formazione.
    Quando questa situazione favorevole non si è verificata, ho sempre ritenuto indispensabile dedicare una parte cospicua del primo incontro al contratto formativo, cioè a spiegare e condividere gli obiettivi della formazione e la modalità di svolgimento della stessa per poter creare una alleanza formativa efficace e soddisfacente per tutti.
    Un aspetto rilevante del contesto è costituito dalla possibilità di effettuare la formazione presso la struttura per la quale abitualmente si lavora. Questa condizione, nella quale mi sono personalmente trovata, merita le seguenti considerazioni:
    • La buona conoscenza degli aspetti organizzativi e ambientali della struttura rende più facile l’individuazione del miglior contesto ambientale e organizzativo (luoghi, orari, turni ecc)
    • La conoscenza reciproca lascia invece spazio al pregiudizio, al rischio di essere giudicanti e poco capacitanti reciprocamente, sui reciproci comportamenti precedenti e soprattutto successivi alla formazione. Questo ultimo aspetto richiede un grosso lavoro interiore da parte del formatore e un grosso aiuto può venire dalla stretta aderenza al metodo formativo capacitante.

    2.Sull’asimmetria
    Come medico palliativista mi sono interrogata molte volte sul significato di simmetria-asimmetria della relazione professionale, personale, formativa. Nell’esercizio della propria professione, soprattutto se si tratta di una professione di aiuto, questi due aspetti convivono costantemente. Nell’ambito tecnico prevale la posizione “up” del professionista che è il depositario delle informazioni, delle conoscenze, dell’esperienza, della gestione delle informazioni. Nell’ambito della relazione e delle emozioni invece, la situazione è diversa. Il paziente-discente può essere molto più coinvolto, anche più preparato e competente del professionista.
    La formazione capacitante e più in generale l’approccio capacitante mi hanno consentito di trovare una buona sintesi tra queste due condizioni. L’astensione dal giudizio, l’accettazione incondizionata dell’altro, la ricerca del “sano” e del “funzionale” anche quando è poco evidente, lo sforzo di ascoltare l’altro profondamente e sinceramente cercando di cogliere quello che sta comunicando sono strumenti straordinari per il miglioramento della della relazione, per renderla più paritaria.
    Lo sforzo di liberarsi dal pregiudizio e dal giudizio deve essere esteso anche verso se stessi per poter fare spazio ai propri limiti ma anche alle proprie capacità. Questo equilibrio interiore è a mio avviso fondamentale per creare all’interno della relazione terapeutica o formativa un clima di comprensione e alleanza volto a consentire a tutti di sentirsi a proprio agio ed importanti.

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    • Elena Giachetti ha una lunga esperienza come medico palliativista. In quella terra di confine ha fatto esperienze speciali e incontri speciali che l’hanno portata a rendersi conto che le persone che assisteva con la propria professionalità (e non solo) erano portatrici di un sapere e di un saper gestire le proprie emozioni inaspettato, tale da farla sentire in posizione down, ridimensionando radicalmente il sentire onnipotente del medico.

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  8. Riflessioni dal punto di vista di chi sta partecipando ai corsi di formazione per formatori capacitanti.

    1. Coinvolgere l’io personale e diventare non giudicanti. Nella mia esperienza di allieva di solito mi sono trovata nella posizione del tutto asimmetrica non solo in relazione con il formatore/insegnante ma anche in relazione agli altri partecipanti. Raccontare di sè, della propria esperienza, è spesso difficile se non impossibile, il timore di esporsi troppo limita la partecipazione alle discussioni portando i partecipanti a considerare la visione piuttosto oggettiva e non soggettiva, la visione più teorica. Seguendo altre modalità di formazione si fa più fatica a coinvolgere l’io personale, il timore di sentirsi giudicati spesso frena l’espressione e la riflessione sugli aspetti importanti. L’AC con diverse tecniche, come la Presentazione a palla, offre la possibilità di coinvolgere tutti allo stesso modo. Si cerca di far raccontare di se stessi, della propria esperienza e questo mette i partecipanti allo stesso livello, fa riflettere su come reagiscono le persone in diverse situazioni e fa capire che ogni modo di reagire è unico ma arricchisce anche il bagaglio degli altri partecipante con le possibili risposte alle richieste dell’ambiente, soprattutto lavorativo. Questo oltre ad aumentare la partecipazione attiva porta a diminuire o fa scomparire del tutto l’aspetto giudicante. È una consapevolezza importante anche nel lavoro con gli anziani fragili.

    2. La formazione capacitante si basa sulla condivisione delle esperienze degli operatori diversi che offrono una visione più ampia e pratica nell’affrontare le problematiche legate alla gestione delle persone anziane soprattutto quelle con problemi di memoria. È un cambiamento di prospettiva perché la condivisione aiuta a vedere nelle persone smemorate e disorientate quello che c’è nel momento presente, non solo quello che la malattia ha portato via. Condividere le esperienze significa anche ascoltare che cosa hanno da dire gli altri, affinando la nostra capacità di mettersi in ascolto.

    3. L’AC arricchisce quanto si sta già facendo. Questo significa che l’AC valorizza le competenze già acquisite e impiegate nello svolgimento del proprio lavoro, chiede solo di prestare l’attenzione e riflettere sul proprio agire al fine di comprendere quanto può essere migliorato. È un aspetto importante nella formazione in quanto ogni partecipante può essere di aiuto agli altri nell’ampliare i propri punti di vista e acquisire conoscenze nuove.

    4. Per quanto riguarda il contesto è importante sottolineare che si tratta della formazione a gruppi di tipo multiprofessionale e questo permette la condivisione delle esperienze tra operatori che svolgono funzioni diverse all’interno delle strutture dedicate alla cura delle persone anziane. È un valore aggiunto, permette ai partecipanti di comprendere le competenze e le difficoltà di chi svolge un ruolo diverso. Questo può essere utile nella ricerca delle soluzioni e della collaborazione.
    Partecipando e osservando i corsi di formazione svolti anche da alcuni colleghi formatori ho potuto notare le differenze a seconda del gruppo dei partecipanti, quando le persone si conoscono di più o di meno, quando lavorano insieme oppure no. Ho notato l’attenzione del formatore nel coinvolgere l’io personale e l’io professionale al fine di far sentire a proprio agio chi interviene.
    L’AC insegna e chiede agli operatori di relazionarsi con le persone smemorate e disorientate in modo “capacitante”, riconoscendo le loro competenze elementari e seguendo le tecniche capacitanti, ma perché questo avvenga è necessario che anche il formatore utilizzi le modalità che permettono di creare un ambiente capacitante già nel contesto formativo.

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